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Soccorso armato in Libia. La proposta de "L'Osservatore Romano"

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Nell'udienza generale di mercoledì 22 giugno, una dozzina di migranti africani si sono uniti a papa Francesco, che non ha mancato di rinnovare il suo incessante appello a "non escludere nessuno", a "dare posto a tutti", a "lasciare venire tutti". 23 giugno 2016 http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/


Ma la politica degli Stati nei confronti del fenomeno migratorio non si può identificare in questo solo gesto di carità tipicamente cristiana. Deve procedere oltre, deve ideare e percorrere sue strade.

Una di queste, nuova e coraggiosa, è stata prospettata lo scorso 17 giugno su "L'Osservatore Romano" da un diplomatico italiano di alto livello, in una doppia pagina dal titolo generale "L'Europa di fronte alla crisi dei migranti".

Ma incredibilmente, la proposta lanciata da quel diplomatico su "L'Osservatore" non ha trovato ascolto. Non è stata ripresa e discussa. È come caduta nel vuoto.

Una ragione in più per riferirne qui i tratti essenziali.

Anzitutto, l'autore. È Antonio Zanardi Landi, 66 anni, friulano. Fu console a Teheran nei terribili anni Ottanta, poi ambasciatore a Belgrado dopo la guerra balcanica, poi ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede e poi ancora, dal 2010, ambasciatore a Mosca.

Dal 2013 è stato consigliere diplomatico dei presidenti della repubblica Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella. E oggi, lasciato il Quirinale, è tra l'altro consigliere della Fondazione dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di proprietà della Santa Sede.

Il testo integrale del suo articolo su "L'Osservatore Romano" del 17 giugno è in quest'altra pagina web: Dovere di proteggere

La proposta di Zanardi Landi muove da un dato di fatto, dall'essersi cioè delineata "una figura nuova di migrante" che non corrisponde più alla "precisa e razionale distinzione" tra migranti che fuggono da persecuzioni specifiche nei loro confronti e migranti semplicemente economici, stabilita dalla Convenzione di Ginevra del 1951, che attribuisce solo ai primi il diritto d’asilo e lo status di rifugiato.

I "nuovi" migranti sono in grande misura persone "a cui non possiamo riconoscere lo status di rifugiati", ma il cui disagio in patria "è così forte da spingerli ad affrontare rischi che pensavamo fossero propri solo della guerra" pur di arrivare "in un’Europa ricca e ancor oggi percepita come tollerante e solidale".

Zanardi Landi scrive di apprezzare "il Migration Compact presentato in aprile dal governo italiano", però troppo debolmente attuato tra Europa e Africa e largamente ignorato dalla pubblica opinione.

Ma detto questo, introduce quella che è la proposta chiave dell'articolo, di cui occupa la parte finale.

Una proposta che si rifà esplicitamente al "dovere di proteggere" invocato da Giovanni Paolo II negli anni Novanta durante le guerre nei Balcani, e oggi di nuovo resosi urgente soprattutto in Libia, con un intervento di "soccorso" ma anche di "contrasto" armato.

A lui la parola.

DOVERE DI PROTEGGEREdi Antonio Zanardi Landi

[…] In questi frangenti una riflessione si impone. Ha davvero senso andare sino alle acque territoriali libiche per recuperare decine di migliaia di infelici, schiavizzati, ricattati, tassati da malfattori e trafficanti, se non si riesce comunque a evitare che migliaia di esseri umani lascino vita, affetti, speranze in quello che Omero chiamava il "purpureo mare" e che per migliaia di anni ha costituito il vero ponte tra i popoli dell’Africa, del Medio oriente e dell’Europa?

Ha davvero senso recuperare uomini e donne a cui ormai molti Paesi europei rifiutano ogni accesso, da Ventimiglia a Calais, dal Brennero ai confini di Macedonia, quando ormai è sotto gli occhi di tutti che il traffico degli esseri umani è diventato il più grande business del Mediterraneo e che i beneficiari degli enormi flussi finanziari che ne derivano non sono certo coloro che credono nella democrazia e ancor meno nel dialogo e nella convivenza?

Non fa questo atteggiamento, determinato da scelte generose che fanno onore all’Italia, il paio con quello di chi, fino a pochi mesi fa, combatteva lo Stato islamico senza interrompere i flussi di petrolio provenienti da territori controllati dal califfato o di chi ancora lo combatte senza apparentemente curarsi da dove armi e mezzi provengano?

Accanto al dovere di accogliere esiste un altro dovere, proclamato forte da Giovanni Paolo II con riferimento alle tragedie balcaniche degli anni Novanta: quello di proteggere.

Aspettando che le forze politiche e militari libiche trovino un assetto definitivo per il paese, è giusto accettare che molte decine di migliaia di esseri umani vengano schiavizzati, ricattati, esposti a rischio per la loro vita e per quella dei loro figli?

Troppo tempo è passato. Le conferenze internazionali si susseguono; certo forieri di speranza sono stati i contatti del ministro degli esteri italiano con i sauditi, di recente, e con tutti gli altri attori della tragedia che si svolge davanti a noi. Ma troppo tempo sta passando ancora, con troppi morti, troppe sofferenze, troppo denaro che va ad alimentare l’acquisto di armi e che scava sempre più profonde le crepe che stanno dividendo in entità separate la Libia, la Siria e l’Iraq.

Il dovere di proteggere ci impone di riavviare la riflessione su ipotesi già scartate più di un anno e mezzo fa, a costo di affrontare dei rischi anche seri. Ma questa che si svolge ogni giorno davanti a noi è una guerra di movimento e chi sta fermo o si ripara in trincee e fossati ha perso in partenza. Intervenire militarmente in Libia non si può, e questo è per tutti ovvio, senza una specifica richiesta del governo libico e d’altra parte in Italia l’opinione pubblica e il governo sono sempre stati saggiamente prudentissimi sull’impiego delle forze armate al di fuori di operazioni delle Nazioni unite.

Ma qui si tratta di altro. Si tratta di proteggere i più esposti alla violenza nel mondo intero. Si tratta di portare aiuti umanitari. Si tratta di impedire a bande criminali di continuare ad agire.

Credo che, a questo punto, si imponga davvero una riflessione sulla necessità di un intervento umanitario, possibilmente in un quadro europeo. Le sue caratteristiche dovrebbero essere quelle di una predominante componente di assistenza e di soccorso, oltre che di contrasto alla tratta degli esseri umani, di un tempo limitato, della volontà, proclamata alta e chiara, di non essere occupanti, ma portatori di solidarietà e di aiuto.

Chi ci appoggerà e chi, coinvolto fino al collo nel traffico, si opporrà? Non potrà questo test essere quello decisivo per decidere chi l’Europa dovrà realmente appoggiare sino in fondo? O gli interessi economici rimarranno condizionanti nelle scelte di tutti i paesi europei?

In questo mondo in cui i torti e le ragioni sono sempre indistricabilmente mescolati, in cui siamo costretti a riconoscere che dittatori spietati tutelavano le minoranze cristiane e non solo cristiane meglio di quanto avvenga oggi dopo gli interventi armati dell’Occidente, in cui la nostra spinta verso istituzioni più democratiche e meno oppressive ha favorito guerre civili con centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi, di fuggitivi, di senza casa, non sarebbe questa un’azione che ci metterebbe finalmente dalla parte del giusto?

Un giusto morale, un giusto politico. Non potrà essere questo il discrimine che convincerà gli europei a stare tutti dalla stessa parte? Non sarebbe questo un modo per disegnare un’Italia diversa e di nuovo un lievito all’interno dell’Unione?


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